Video storytelling: la chiave narrativa vincente

Immagini, suoni, idee e parole per raccontarsi al pubblico

Se un’immagine viene processata dal cervello 60.000 volte più velocemente di un testo, un audiovisivo sfrutta le sue potenzialità comunicative arricchendole con ritmo e suoni, mentre il video storytelling amplifica il tutto grazie alla forza delle strutture narrative.

Per lanciare messaggi duraturi ed efficaci, allora, non resta che renderli protagonisti di “storie da film” − da diffondere sul sito aziendale, sul blog dell’ecommerce e sulle piattaforme social, per intercettare gli utenti sulle frequenze delle loro stesse emozioni.

I dati a sostegno dell’audiovisivo: il video alla base delle strategie di digital marketing

L’ultima edizione dall’Engage Conference organizzata all’Auditorium IULM di Milano ha riportato l’immagine di un’Italia sempre più videodipendente. La “new video experience” sviscerata dalla tavola rotonda è vissuta nel nostro Paese soprattutto attraverso gli smartphone, supporti che nell’ultimo anno hanno registrato una crescita della fruizione di audiovisivi del 20%.

Parallelamente, è aumentato pure il fatturato della pubblicità in rete, che si nutre anch’essa di video: questi, infatti, oltre ad aumentare la permanenza sulle pagine web del 60%, restano i contenuti più visualizzati in assoluto e, secondo l’Osservatorio Fcp-Assointernet, fra cinque anni costituiranno la metà del traffico dati dei telefonini.

Come dar vita alla propria storia

Non importa se si dispone di una rete di distribuzione tradizionale o se si sta già seguendo una strategia di vendita multicanale: il video storytelling è un’ottima leva di marketing e rappresenta un deciso vantaggio in termini di awareness, reputation ed engagement… a patto di seguire alcune best practice.

Innanzitutto, le storie vanno indirizzate a un target preciso. Così, se in linea generale valori come l’autenticità, la semplicità e l’universalità si dimostrano vincenti, è pur vero che, nel produrre un video destinato al B2B, puntare su certi sentimenti potrebbe rivelarsi una tattica errata. In fondo, per umanizzare e narrare un marchio possono bastare fonti autorevoli, come i suoi fondatori o la sua forza lavoro, in grado di far diventare reale, o quanto meno verosimile, la promessa del “discorso di marca”.

Un’altra regola impone la brevità dei contenuti, richiesta dal medium Internet e desiderata dai suoi fruitori che, sottoposti a infinite sollecitazioni, sono sempre meno disposti a focalizzare la propria attenzione per più di pochi minuti consecutivi. Per tale ragione, i video dovranno essere chiari e inframezzati da didascalie che li rendano comprensibili anche senza audio (come solitamente vengono visionati sui canali social).

Infine, l’Engage Conference suggerisce di raccontare storie riconoscibili, costanti − mai sentito parlare di web series? − e originali. L'”effetto wow” di Seth Godin, dunque, è decisamente auspicabile, sia che si decida di descrivere la genesi del brand, sia che si preferisca presentarla sotto forma di metafore o archetipi.

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